Cara sindaca,
le scrivo per descriverle una situazione che, almeno in parte, le sarà nota, ma con alcuni spunti che, mi auguro, siano utili.
Sono un suo concittadino da quasi due decenni; non conosco granché la Torino del vecchio millennio, quindi limiterò le mie digressioni a questo.
Le scrivo principalmente perché Torino è ormai una città invivibile, e non mi riferisco solo alle problematiche legate all’amministrazione a volte sfuggente, al tempo impiegato negli spostamenti o alla qualità e quantità di negozi o parchi; mi riferisco in maniera molto più concreta all’aria che respiriamo, all’aria che ci sta uccidendo tutti un po’ alla volta.
La mia giornata comincia con il non poter aprire la finestra di casa al mattino perché abito ad un quarto piano su una via abbastanza trafficata di Torino sud. Già da prima delle 7:30 del mattino, l’aria che si respira a balcone, è carica di smog. Quando scendo di casa per portare i bimbi alla vicina scuola, ad appena 300 metri, mi chiedo immancabilmente come mai siamo arrivati a questa situazione. Una situazione che non è solo fastidiosa, ma proprio dannosa: i miei figli, giusto per fare un esempio, sono ormai entrambi soggetti a forti allergie, quel tipo di malattie che prendono l’abbrivio a febbraio e marzo, raggiungono l’apice in primavera e scemano solo ad ottobre. C’è da chiedersi come sia possibile manifestare allergie alle graminacee (giusto per fare un esempio) se nell’aria c’è solo smog. Eppure la scienza ha spiegato che questo clima favorisce lo sviluppo di allergie respiratorie di questo tipo.
Dopo aver portato i bimbi a scuola, vado a lavoro. Visto che non ci si può lamentare e basta, ma si deve contribuire a migliorare (o a non peggiorare) la situazione, vado spesso in bici e lascio l’auto sotto casa. Faccio meno di 5 chilometri attraversando Torino sud da est a ovest. Ci sono vari percorsi ciclabili, come via Onorato Vigliani, corso Settembrini e corso Tazzoli. In alcuni casi la pista ciclabile è, diciamolo, piuttosto farlocca, come quella ricavata sui marciapiedi di via Vigliani o di corso Orbassano (dietro la FIAT), oppure è così da rattoppare che non ci si può neppure avvicinare, come quella sul lato sud di corso Settembrini, oppure va percorsa piegando la testa in giù per non battere la testa sui rami degli alberi, come su corso Tazzoli, o addirittura è stata rimossa per permettere alle auto di parcheggiare comodamente in divieto sul marciapiede, come su una parte del lato nord di corso Settembrini. Ma una cosa accomuna tutti questi percorsi ciclabili: l’aria irrespirabile.
Da qualche tempo vedo ciclisti che usano la mascherina, quella seria, che dicono filtri anche le PM10. A dire il vero ce ne sono anche con la mascherina degli imbianchini, che è un evidente palliativo. Ma mi domando: ci si può ridurre ad andare in giro in bici con la maschera? Siamo veramente arrivati a questo punto? Possibile che non ci sia altra soluzione?
La soluzione ovviamente ci sarà, o magari già c’è, ma di certo qui non è applicata. Ed è chiaro che il problema è complesso e la soluzione deve essere articolata e coinvolgere molte parti, ma è altrettanto chiaro che lei ha ricevuto il mandato dai suoi cittadini per risolvere questo problema, non solo questo, ma anche questo.
In questi anni ho visto nascere la metropolitana, ho visto incrementare l’utilizzo degli autobus a metano e, più di recente, elettrici, ho visto aumentare la diffusione del teleriscaldamento, ho visto nascere servizi di bici e auto in condivisione, queste ultime anche elettriche. Ho visto anche altre azioni volte a mitigare il problema dell’inquinamento. Ho visto anche azioni puramente di facciata, come le domeniche ecologiche o la sezione di vigili in bicicletta.
Ma tutto quello che ho visto (e certamente anche altro di cui non sono al corrente) non ha sortito l’effetto cui puntava. Non so se sia vero, ma si dice che ogni anno a gennaio o febbraio, si raggiunga il tetto consentito di sforamenti della soglia di PM10; si dice che le colonnine per i rilevamenti siano messe in posizioni tali da rilevare meno inquinamento; si dice che le soglie di tolleranza vengano alzate periodicamente. Non so se siano tutte falsità, ma se mi devo fidare del mio naso, al di là di quale scala venga usata per misurare la qualità dell’aria, la situazione è pessima.
Lei adesso copre questo incarico da quasi tre anni. È arrivata lì e ha certamente trovato un’eredità non facile da gestire, tra l’altro con tutti i vincoli di quello che un sindaco può e non può fare, ma non è riuscita a risolvere questo problema. Adesso è troppo tardi per concordare piani a lungo termine: non avrebbe senso dire — faccio due esempi a caso — che la nuova metropolitana verrà costruita in fretta e raggiungerà Piossasco in 15 anni togliendo dalla strada una grossa parte del traffico su gomma che attanaglia corso Orbassano; non avrebbe senso dire che nel giro di 5 anni il parco autobus cittadino sarà completamente convertito all’elettrico. Quello che serve è un’azione immediata e drastica che permetta ai suoi cittadini di uscire di casa e dimenticarsi che un tempo doveva dotarsi di maschere per andare in giro nel traffico.
E se la soluzione è lavare le strade con il detersivo ogni notte, allora da domani notte si deve cominciare; e se la soluzione richiede la concertazione con tutti i sindaci della città metropolitana, allora domani si preoccupi di convocare tutti attorno ad un tavolo per trovare subito una soluzione; e se la soluzione è impossibile da realizzare senza un accordo a livello regionale o nazionale, faccia tutto che quello può perché questo si realizzi al più presto.
E se non sa quale sia la soluzione, allora trovi i cervelloni in grado di trovarla.
La lascio con un ricordo: qualche mese fa vidi un documentario su Barack Obama, nel quale lui diceva qualcosa del tipo: «ogni volta che i problemi da affrontare sono di facile soluzione, questi non arrivano neppure al mio tavolo. Il mio compito è gestire i problemi complessi.»
Lei è «solo» la sindaca di Torino, non deve preoccuparsi dei problemi degli stati uniti d’America, ma facendo le dovute proporzioni, anche lei deve preoccuparsi dei problemi grossi, come quelli che determineranno se i suoi cittadini, tra vent’anni, saranno tutti ricoverati in qualche reparto di pneumologia.