È stata la mia prima Maremontana nonché la mia prima corsa «trial», ma devo dire che nonostante l’evidente difficoltà per chi non è pratico di questa specialità, mi è piaciuta molto.
La pioggia non mi ha disturbato più di tanto, ma ho corso tutto il tempo con la giacca anti pioggia, il che mi ha fatto sudare parecchio. L’acqua è entrata dappertutto: a partire dalle scarpe — nonostante fossero fatte apposta per limitare l’intrusione dell’acqua — fino allo zaino-evidentemente-non-abbastanza-impermeabile che conteneva il materiale obbligatorio, compreso il telefono cellulare che ha preso così tanta acqua che ho dovuto buttarlo (lezione imparata).

Al ristoro «Rifugio Pian delle Bosse» sul percorso dei 23km. (Foto di Irene Gibin, fonte: facebook)
Invece ho capito cosa vuol dire «finire l’energia». Arrivato circa al 18km non riuscivo più a muovere un passo e mi sono fermato a mangiare e bere, dando fondo alle scorte che avevo portato: mezzo litro d’acqua e un pacco intero di Ringo. Nell’attesa di riprendere le forze mi hanno superato una quarantina di persone, ma a dire il vero non ne ho viste molte messe bene. La mancanza di forze non è arrivata improvvisa, ma evidentemente non ho saputo capire i primi sintomi, che pure c’erano (anche qui, lezione imparata).
Correre nella seconda parte del percorso è stato parecchio più difficile: c’erano discese rese impegnative dal fango che scorreva coprendo le asperità del terreno. Si doveva scegliere: correre sui bordi del sentiero con il pericolo di scivolare frequentemente verso il centro bagnato e ammaccarsi il sedere (minimo) o spezzarsi una gamba, oppure prendere la via centrale affondando nel fango e rischiando le storte alle caviglie per i vari sassi nascosti alla vista. Io — forse perché sono cresciuto accanto a Venezia 🙂 — ho preso spesso la seconda via, quella centrale, affondando nell’acqua e nella melma senza nessun tentativo di mantenere un aspetto decoroso. Difatti alla fine ero piuttosto… marrone. Inoltre a volte la velocità raggiunta con la pendenza era troppa e ho preferito aiutarmi con i vari alberi laterali per rallentare e fermarmi più volte prima di ripartire. Tra l’altro uno di questi si è rilevato coperto di grosse spine (lezione imparata).
Quasi alla fine, quando si rientra nel centro urbano e pare di essere arrivati, c’è una salita che spunta a tradimento dopo una curva stretta a destra — credo sia l’accesso al sagrato di una chiesa –. Quella salita è una specie di Golgota e, secondo me, cercando bene tra i ciottoli che lo compongono, vi si potranno trovare parecchi accidenti lasciati lì dai partecipanti alla gara 🙁
Poi c’è l’arrivo. Nel mio caso un arrivo in solitaria: nessuno davanti a me, nessuno dietro di me, nessuno che mi guardava, nessuno che mi aspettava, nessun sorriso: era un attimo di silenzio anche per lo speaker. L’unico ad avermi notato è stato il cronometro ufficiale, di certo solo perché ligio al suo ordine elettronico. Questo arrivo è stato di quelli che ti fanno pensare: ma perché sono qui, tutto bagnato, a fare una corsa (la mia) della quale non interessa niente a nessuno? La risposta è ovviamente dentro di me ed è quella che mi farà iscrivere anche l’anno prossimo.
Intanto riprendo con le mie corse in pianura: domenica prossima c’è la tuttadritta a Torino. Solo 10km, ma questa volta in compagnia e con l’intento di battere il mio record.