Beh, come tutti al mondo ormai sappiamo, quella che era l’emergenza coronavirus si sta rivelando un fenomeno lungo. Le scuole, con tempi di partenza molto diversi una dall’altra e con velocità completamente disomogenee, si sono organizzate per cercare di portare avanti la didattica tramite la rete Internet.
Si sono subito presentati parecchi problemi, come ad esempio: il dover scegliere una soluzione software capace di supportare la didattica a distanza, la formazione degli insegnanti, la fornitura di hardware agli insegnanti e agli studenti che ne sono sprovvisti, la scelta di hardware e software per gli alunni, il problema del supporto alle famiglie che si trovano a dover seguire i figli a casa oltre che a dover lavorare, e altro ancora.
In una scuola con la quale ho a che fare è stato scelto di adottare la soluzione di Google che si chiama «G Suite for Education». È sostanzialmente un agglomerato di servizi già noti principalmente composto da: la posta elettronica di gmail, i documenti di testo e i fogli elettronici di docs, lo spazio disco su drive, il calendario calendar, la rubrica contacts, la lavagna jamboard e, naturalmente, le video chiamate tramite Meet (ex Hangouts). Il tutto con la necessità di operare con un dominio Internet gestito tramite Google, il quale, Google, promette di confinare tutte le comunicazioni (non si può accedere ad una video chiamata o mandare un email o condividere un file se non si ha un account Google con un indirizzo email di quel dominio) e di non spiare per nulla i dati, i quali sono tutti di proprietà della scuola.
La scuola ha scelto questa soluzione perché promette di mantenere la «privacy», cioè, siccome i dati sono della scuola e Google non li guarda, allora si tratta di una soluzione sicura. Questo è ovviamente sviante perché il servizio è fornito da Google, su server di Google, per il quale viene fatto il backup dei dati su altrettanti server di Google ai quali, ad esempio, il governo americano può chiedere di accedere come e quando gli pare. E poi, se anche Google non guardasse i dati (cosa che comunque non possiamo controllare) di certo controlla i metadati: Google sa da che IP ci colleghiamo e quindi conosce probabilmente via e numero di casa nostra (non a caso, con le antenne contenute nelle google car che scattano foto per street view, google mappa geograficamente tutti gli access point che rileva; oppure se la maestra ha un telefono Android sul quale c’è un account Google che viene anche usato sul browser, allora la posizione viene presa da lì), in quali orari ci mettiamo all’opera, quanto tempo dedichiamo allo studio; ma se poi consideriamo che gli studenti non usano quasi mai la navigazione anonima offerta dai browser, allora il cookie della sessione Google rimane nel browser e quindi, se dopo l’orario di scuola loro fanno una semplice ricerca sul suo motore di ricerca, ecco che Google continua ad imparare cose sul nostro studente. Lo stesso se va su youtube. Lo stesso se va sull’oltre 90% dei siti web, i quali contengono annunci pubblicitari gestiti da Google.
Ma lasciamo stare le motivazioni che hanno spinto questa — e chissà quante altre — scuola a scegliere la G Suite for Education.
In questa pagina vorrei riportare il primo di una serie di articoli atti a cercare di aiutare a migliorare la didattica portata avanti con la G Suite.
Come fare delle video chiamate che permettano alla classe di essere divisa in gruppi
Una delle cose che secondo me si fanno facilmente in classe, ma vengono dimenticate appena si passa alla didattica in rete è la possibilità di dividere gli alunni in gruppi. Quello che in classe era «fate questo lavoro con il vostro compagno», oppure «dividetevi in gruppi da quattro», è possibile anche lavorando in rete. Non si fa con una opzione presente nel corso della video lezione, ma va in qualche modo realizzata a mano. Ci sono vari modi per farlo, ma quello che mi è parso migliore è quello presentato nel video (in inglese americano) che riporto sotto.
Sostanzialmente l’insegnante prepara sul calendario Google vari appuntamenti ai quali associa le stanze di Google Meet, tutti concomitanti; il prima è quella della lezione comune, nel quale inserisce tutti gli indirizzi degli alunni in modo che ricevano l’invito e ce l’abbiano nel loro calendario, le altre stanze sono una per ogni gruppo di alunni. In questi ultimi appuntamenti non si inserisce nessun alunno perché non si vuole che vengano mandati i relativi inviti. Per comodità le stanze diverse dalla prima sono chiamate con l’elenco dei nomi degli alunni del gruppo assegnato alla stanza.
Poi l’insegnante prepara un documento di testo condiviso con gli alunni, nel quale scrive in ogni riga i partecipanti ad un gruppo, un gruppo per linea del documento, e trasforma la linea di testo in un collegamento che punta direttamente alla stanza.
Al momento opportuno durante la lezione, l’insegnante condivide il testo e invita gli alunni a fare click sul proprio nome in modo da finire nella stanza ad essi assegnata e svolgere il lavoro in gruppo. L’insegnante potrà sempre inserirsi nelle stanza degli alunni e partecipare ai vari gruppi.
Punti d’attenzione: l’accesso alla stanza non è controllato, vale a dire che un alunno che voglia entrare in un altro gruppo lo può fare semplicemente facendo click al link corretto nel documento condiviso dall’insegnante. Inoltre, non c’è modo di richiamare l’attenzione dell’insegnante da dentro la stanza, quindi gli allievi devono attendere che l’insegnante vi partecipo o dovranno cercarla, magari nella stanza comune.
Spero che questo primo articolo sia utile. Il prossimo tra qualche giorno.