Maremontana 2016

Maremontana 2016

In partenza poco dopo il ristoro del 24°km (foto di Walter Nesti)

Quest’anno sto aumentando le distanze e difatti, mentre nell’edizione scorsa ho partecipato al percorso da 23km della Maremontana, nel 2016 ho scelto il 45km. C’era anche il 60km, ma per me sarebbe l’equivalente della morte certa. Meglio di no.

È stata proprio una bella corsa. L’organizzazione si è mostrata all’altezza come sempre: posti medici disseminati sul percorso, sentieri sempre percorribili anche se spesso non ci si sta due affiancati, personale dell’organizzazione disseminato un po’ lungo tutto il percorso, disponibilità di una doccia e di un pasto caldo a fine corsa, controllo del contenuto dello zaino con materiale obbligatorio. E addirittura, qualcuno è partito a controllare il sentiero due ore e mezza prima della partenza, cioè alle 3:30 di notte.

Il mio allenamento non è mai stato sufficiente per correre in maniera competitiva, quindi lo spirito con il quale sono partito è quello del campestre che va a fare una passeggiata, anche se impegnativa. Ovviamente ho fatto i miei controlli medici, ho corso almeno una volta a settimana cercando di coprire distanze lunghe (almeno mezza maratona per ciascuno degli ultimi 4-6 allenamenti), ho fatto un po’ strada di collina e una volta ho corso con la neve inaspettata.

La sera prima della corsa ho cenato abbondantemente (sapete, il menu del ristorante diceva «minimo due porzioni»…) e sono andato a letto puntando la sveglia alle 4:50.

Così, al mattino, suona la sveglia. Questa volta, al contrario dell’anno scorso, non è prevista pioggia, quindi abbigliamento leggero (maglia e pantalone corto) e il resto nello zainetto. Mi avvio al luogo della partenza ed è come quando nei film vedete i topi che fuggono dalla nave, ma al contrario: persone vagamente distinguibili che nel buio si avviano tutti verso un punto centrale formando file a raggiera. Ovviamente è presto, ma già qualcuno parla al microfono e ci racconta che dopo la parte in spiaggia e quella sulla passeggiata, ci sarà un bel salitone che prevede il passaggio in un sentiero molto stretto. Alcune altre indicazioni, punzonatura del pettorale e … si parte!

In effetti i primi chilometri in piano sono stati facili, anche se comincio a guardarmi attorno, cerco di capire chi stia correndo vicino a me, scopro che tutti gli altri, ma proprio tutti, sono coperti di abbigliamento tecnico serio a partire dallo zaino/giubbino con tutte le taschine piene di chissà quali sostanze energetiche mentre io sono quello con lo zainetto del supermercato che si è portato solo acqua e un mezzo pacco biscotti. Ho avuto modo di vedere che veramente in tanti erano dotati anche delle bacchette, a volte quelle che si possono anche ripiegare, ma più spesso quelle intere. Alcuni dicevano che sono veramente comode, soprattutto in discesa, quando aiutano a rallentare le cadute, ma le ho viste usare in molti momenti, anche se la mia impressione (sicuramente da non addetto ai lavori) è che facciano rallentare.

Altri parlavano dei loro orologi/GPS sperando che la carica bastasse per la lunga gara. In effetti anche io avevo dei dubbi, invece il mio telefono, dopo 9 ore dalla sveglia, e mandando in continuazione l’aggiornamento della mia posizione al sito web, aveva consumato circa il 35% della batteria. A proposito: sulla passeggiata di Loano, non lontano dall’arrivo, c’è un pannello solare che serve a caricare i vari dispositivi. Ha 4 o forse 6 porte USB che chiunque può utilizzare. Non l’ho provato, quindi non posso dire di più.

La serie iniziale di salite è stata molto bella: l’iniziale sentiero stretto ci ha obbligati a metterci in fila per due e cominciare a socializzare nella calca che si è formata alla base. Era ancora buio e tutti avevamo la lampada frontale, che per alcuni era anche dotata di una luce rossa sul retro; quindi si vedeva dal basso la fila di queste luci che dava l’idea dello zigzagare del percorso. Molto bello. Ho cercato di scattare una foto alla scena, ma il mio telefono si è opposto. Sarà anche «smart», ma di certo non fa «art». Così quell’immagine è dentro di me. Durante la salita è diventato giorno, ma non si è visto nettamente poiché il cielo era coperto da nubi grigie, inoltre si è anche alzato il vento forte. Comunque, questa salita è terminata forse al chilometro 9, o forse anche dopo. La parte più difficile è stata l’ultima perché ad un certo punto, su una salita veramente difficile prima di un forte, ho cominciato a sentire una musica, il che mi ha fatto pensare che fossimo vicini al punto di ristoro, invece deve essere stato qualche spiritoso che ha acceso la radio portatile o il telefono, o magari era la sua suoneria, non so. Ma in quel momento, su quella salita, ci voleva proprio un po’ di conforto, invece quello scoprire la verità è stato uno smacco.

Per fortuna che avevo curato la preparazione psicologica leggendo libri di dure avventure sulle montagne italiane e di confine. L’ho già accennato altrove, e un po’ è uno scherzo, ma veramente nell’ultimo anno ho letto «Il partigiano Johnny», «Un anno sull’altipiano», «Niente di nuovo sul fronte occidentale» e «Il sergente nulla neve». Sarà un caso? Magari non aiuta a correre, ma questa lettura aiuta a farsi un’idea della montagna.

Comunque, dopo il salitone iniziale c’è stata qualche discesa e qualche tratto in piano. Durante tutto questo correre e camminare (tanto camminare) è capitato spesso di trovarsi solo anche se sapevo che 200m avanti o indietro c’era altra gente, che come me, faticava. E durante questi momenti, mentre correvo o camminavo da solo in montagna, stavo bene. È, credo, una della motivazioni che mi spinge a partecipare a una corsa come questa. Poi mi è capitato di dare un calcio ad una radice e cacciare un urlo così forte da far fermare quello che, avanti di 100m, si allarma e mi chiede se tutto va bene. Ovviamente no, sennò mica avrei urlato, ma ormai per l’unghia è troppo tardi. Tanto vale risistemare bene i lacci e ripartire.

Con tutti quelli dell’organizzazione ho scambiato un saluto o due parole. In alcuni casi senza fermarmi, in altri con una piccola pausa. È incredibile quanto due parole e magari una battuta possano aiutare in 10 secondi di pausa. Spesso poi danno indicazioni utili su come proceda la strada: se pericolosa come la discesa sulla roccia, o se impegnativa, oppure quale sia la distanza dal prossimo ristoro. Ad uno non ho neppure dovuto chiederlo: mi ha visto e ha detto «tra 2 chilometri e mezzo c’è il ristoro». Deve aver visto la mia faccia devastata.

E difatti, anche se quella mattina mi sono pure fatto la barba, credo che il mio aspetto non fosse dei più accattivanti, ma nonostante ciò Walter Nesti è  riuscito a scattare una foto presentabile, quella in cima a questa pagina.

Ad ogni ristoro c’era da mangiare e bere. Diciamo che i ristori non sono esattamente come quelli della «arrancabirra», che è una corsa di montagna che si tiene in Valle d’Aosta a ottobre. Lì trovi la gente che pasteggia, la musica, il barbequeue, birra, torte e tortini. Qui trovi qualche biscotto, un po’ di frutta, delle caramelle e, se va bene, la focaccia. Ma in effetti è in linea con tutto lo stile della gara che è improntato all’austerità e al non sprecare. Oppure sono semplicemente arrivato tardi e ho trovato gli avanzi 🙂

Una delle cose che ho notato maggiormente è la grande forza di quelli che hanno corso la 60km. Il loro percorso era in parte lo stesso nostro, con alcune deviazioni che li portavano lontano per poi ricongiungersi al nostro. Mi è successo di essere superato più volte da questi atleti (con loro mi sento difatti di poter spendere questa parola) che ho sempre visto correre: mai una pausa, neppure in salita. Pazzesco. Ed erano spesso a coppie, a chiacchierare ed ad aiutarsi. Una volta ne ho visto uno che correva in piano tenendo le sue bacchette in orizzontale nelle due mani, e mi è venuto in mente Orzowei. Non so com’è successo, ma da qualche parte nel mio cervello era rimasto qualche fotogramma di quell’individuo che correva nell’Africa inscatolata nella TV di quand’ero bambino, armato di una lancia. E quel fotogramma è magicamente riapparso. Magia delle sinapsi che ricollegano neuroni abbandonati da tempo.

Ripensandoci, è anche vero che quelli veloci che hanno corso i 45km mi sono sempre stati davanti e non li ho mai visti, mentre accanto a me stavano quelli del mio livello. Invece quelli dei 60km che vedevo sfrecciare non erano forse i primi, ma poco ci mancava, quindi erano decisamente i più bravi.

Quando ero quasi arrivato — mancavano meno di due chilometri — mi ha superato una coppia di sessantachilometristi che sembrava fare una passeggiata veloce: correvano ancora e intanto chiacchieravano bellamente. Ho poi visto che lei era la prima donna che chiudeva i 60km. E in meno di 2 chilometri mi hanno superato di circa 10 minuti, difatti l’ultimo tratto — quello sulla spiaggia — ho preferito farlo camminando, in compagnia di un altro corridore che, come me, avrebbe lasciato volentieri una imprecazione al posto di ogni impronta…

Tempo ufficiale: 8h17′.

Morale: quando si riparte?